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Scarsi finanziamenti su ricerca farmaci antiCOVID-19

A più di un anno dall’inizio del Covid19, mancano farmaci dedicati (autorizzati)

Molto tempo è passato (più di un anno), dall’inizio della pandemia di COVID-19 e mentre i vaccini sono arrivati e (pur se avevano usufruito di un ridotto periodo di sperimentazione) approvati rapidamente. L’attenzione mediatica è da sempre, attratta completamente dai vaccini per COVID-19, come se fossero l’unica via di difesa, per sopravvire al Covid.

Così facendo i media e la politica, stanno oscurando sia le possibilità che i progressi, nello sviluppo di farmaci per combattere l’infezione e l’insorgenza di conseguenze gravi per l’organismo. L’informazione non mette in risalto, ad esempio, che la percentuale dei decessi è diminuita, proprio in molti dei luoghi dove l’assistenza domiciliare, ha cominciato a funzionare; non solo per quello ma anche perché i medici, hanno imparato ad utilizzare alcuni dei farmaci esistenti, per curare i pazienti più gravi.

Questi successi non sono però sufficienti, perché mancano ancora farmaci creati, sperimentati e approvati specificamente per il Covid, che potrebbero prevenire il peggioramento, nei casi lievi o iniziali della malattia. Tali trattamenti sono necessari, perché non si conosce ancora se e quando i vaccini, riusciranno ad indurre nella popolazione, un’immunità sufficiente nel tempo, a tenere sotto controllo le infezioni.

Con il progredire delle varianti, molte persone continueranno ad ammalarsi di COVID-19, malgrado i vaccini, mentre le istituzioni non investono ne spingono le case farmaceutiche a farlo, facendo anche passare in secondo piano i progressi, seppur limitati, nello sviluppo di farmaci ad hoc.

Prevenzione: A gennaio di quest’anno una buona notizia non divulgata

Rafforzare le difese immunitarie che abbiamo compromesso o indebolito, soprattutto a causa di una vita stressante, l’uso smodato di antibiotici, nei cambi di stagione, con l’alimentazione sbagliata e la riduzione del riposo notturno. Se siamo tra quelli che hanno indebolito le proprie difese, saremo predisposti, vista la scarsa efficacia dell’esercito immunitario, alle varie infezioni scatenate da agenti infettivi quali: batteri, funghi e parassiti e soprattutto virus

Un aiuto ci può venire dala lattoferrina, che è una molecola naturale, presente in tutte le secrezioni umane, compreso il latte materno. Si tratta di una proteina multifunzionale, in grado di accrescere le difese immunitarie dell’organismo e di svolgere anche, un’azione anti-infiammatoria.

Photo taken in Vilnius, Lithuania

Un nuovo studio condotto dalle Università di Tor Vergata e La Sapienza di Roma, afferma che la lattoferrina serve a contrastare il Covid-19. 

Tale molecola sarebbe infatti in grado di bloccare l’infezione e la “tempesta infiammatoria” provocata dal coronavirus.

Tutti i pazienti, di età compresa fra i 17 e gli 84 anni, sia asintomatici che con sintomi da lievi a moderati (febbre, tosse, astenia, mialgia), sono stati trattati con lattoferrina (Mosiac capsule da 200 mg) a un dosaggio da 3 a 5 capsule al giorno per una durata compresa tra 7 giorni e 20 giorni. 

Dall’esperienza clinica si è concluso che la lattoferrina si è dimostrata un trattamento privo di effetti avversi ed efficace in pazienti Covid-19 sia da sola che associata alle altre terapie utilizzate per il trattamento del virus. Tutti i pazienti hanno avuto remissione della sintomatologia e nessuno di essi ha necessitato di ospedalizzazione.

link – https://carepharm.it/lattoferrina-e-covid-le-proprieta-della-proteina-del-latte-contro-il-virus/

Alla ricerca di una cura per COVID-19; tante speranze e alcune delusioni

Nella ricerca di questi farmaci gli scienziati hanno tentato diversi approcci:

  • Il ricorso ad algoritmi di apprendimento automatico, per esempio, setacciare le banche dati chimiche, alla ricerca di composti con proprietà strutturali, che potrebbero essere efficaci contro SARS-CoV-2.
  • utilizzare nuovi protocolli, progettati per trasferire rapidamente i farmaci dalle fasi iniziali a quelle finali degli studi clinici in ambiente ambulatoriale.
  • riadattare alcuni farmaci che erano stati sviluppati per altre malattie, come ad esempio il Remdesivir, nato per combattere l’Ebola.
Tra i farmaci da riadattare, per il trattamento del covid, spicca attualmente il Molnupiravir, in origine EIDD-2801.

Uno dei principali candidati per COVID-19 in forma lieve, si tratta di una pillola antivirale, precedentemente sviluppata per l’influenza. Il Molnupiravir è in grado di proteggere i topi, da gravi malattie polmonari causate da SARS-CoV e MERS-CoV. Sulla base di questi risultati, una società di Miami, ha ottenuto l’autorizzazione per EIDD-2801, per condurre test di sicurezza su esseri umani. Lo studio clinico in fase finale, per valutare molnupiravir in pazienti con COVID-19 ricoverati e non ricoverati, dovrebbe concludersi quest’anno.

Malato di COVID-19 in corsia: la speranza e trovare un farmaco che blocchi la progressione verso forme gravi di malattia (©Mareen Fischinger/AGF)

Anche il riutilizzo di altri farmaci esistenti, a volte inaspettati può riservare sorprese. La Fluvoxamina, una pillola usata per il trattamento dei disturbi d’ansia, che si è rivelata promettente per trattare il COVID-19 in fase precoce, ha confermato la sua validità. Infatti i ricercatori hanno somministrato fluvoxamina o placebo a 152 pazienti, in uno studio randomizzato; hanno riferito che nessuno degli 80 pazienti che avevano assunto il principio attivo, ha sperimentato un peggioramento dei sintomi. Al contrario, sei pazienti del gruppo placebo si sono gravemente ammalati e quattro sono stati ricoverati in ospedale. Occorre però curare prima della seconda settimana, quando i pazienti iniziano a peggiorare.

Ma il ricorso a terapie inizialmente sviluppate per altri scopi non è l’unica strada che si sta percorrendo.

Gli sviluppatori di farmaci, hanno anche ideato una proteina sintetica (generata al computer), che blocca SARS-CoV-2 prima che si diffonda nel corpo. All’Università di Washington, i ricercatori hanno ideato partendo da zero, delle proteine che si legano in un sito preciso delle protrusioni appuntite del virus. Queste proteine, chiamate mini-leganti, difendono (secondo gli sviluppatori) dal virus in modo più efficace di quanto fanno gli anticorpi nelle cellule umane. 

Nelle ricerche successive, i ricercatori della UNC hanno dimostrato, che il farmaco poteva inibire SARS-CoV-2 anche nelle cellule polmonari umane, oltre che nei topi ingegnerizzati. Secondo Baric, il Remdesivir ad esempio, ha il difetto della somministrazione endovenosa, che ne limita l’uso ai pazienti ospedalizzati”. Ciò fa tardare il momento in cui si inizia la cura, ed diventa troppo tardi avendo avuto il virus via libera. 

Sembra dunque che le prove dimostrino che Remdesivir, Molnupiravir ma anche altri composti, sono in grado di bloccare più coronavirus, e spingono a sviluppare antivirali, ad ampio spettro.

Per affrontare le sfide future, abbiamo bisogno di questi farmaci, che siano disponibili e pronti all’uso in caso di epidemie virulente, per poter salvare molte vite umane.

L’importanza della tempistica di somministrazione dei farmaci

Alcune peculiarità del coronavirus e in particolare di COVID-19, hanno reso più complicata la ricerca. E’ infatti stato accertato che, siamo di fronte ad una malattia che ha più stadi:

  1.  Inizialmente c’è l’infezione delle vie respiratorie superiori causata dal virus,
  2. Successivamente c’è una reazione immunitaria (più rara e più grave), che si verifica (non sempre) quando il patogeno arriva in profondità nei polmoni.

Risulta pertanto di primaria importanza, affinché la terapia utilizzata sia efficace, la tempificazione della somministrazione dei diversi farmaci. Se si somministra troppo presto un immunosoppressore come il desametasone, si distrugge la capacità del corpo di combattere da solo il virus. Se si somministra una terapia antivirale troppo tardi, il virus sarà già fuori controllo.

Pertanto la difficoltà della scelta della tempistica, spiega perché si è rivelato così difficile curare i pazienti COVID-19 più gravi, con farmaci non abbastanza conosciuti per curare il Covid19. Sembra ormai evidente che l’inefficacia del farmaco sui pazienti molto gravi, conferma le sperimentazioni su animali. Infatti sia gli anticorpi monoclonali, sia gli antivirali, sembrano avere il massimo dell’efficacia, all’inizio della malattia, quando il virus è ancora nel naso e non ha causato complicanze gravi.

I tipi di farmaci impiegati contro il coronavirus

I farmaci attualmente impiegati per contrastare gli effetti della malattia indotta da SARS-CoV-2 rientrano principalmente in 4 categorie: 

  1. antivirali: impediscono al virus di replicarsi nelle cellule e sono efficaci nelle fasi precoci della malattia;
  2. immunostimolanti: supportano l’azione del sistema immunitario contro il virus;
  3. anti-coagulanti: riducono il rischio di eventi trombotici;
  4. immunomodulanti con attività antinfiammatoria: per le forme di malattia con iper attivazione del sistema immunitario e sindrome da rilascio citochinico.
Questi alcuni dei più conosciuti al momento per il Covid19:
  • Gli ANTIVIRALI (in  sperimentazione), 
  • Il Remdesivir, un farmaco antivirale mirato a fermare l’infezione, quindi adatto per il trattamento precoce,
  • Il Pralatrexato che sembra sia più efficace del Remdesivir (principale farmaco antivirale attualmente utilizzato per trattare i pazienti con Covid-19),
  • L’Eparina nei pazienti ricoverati,
  • I Corticosteroidi come il Desametasone,
  • I farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS),
  • Il PLASMA dei guariti,
  • Gli ANTICORPI prodotti in laboratorio – (come anticorpi monoclonali della Regeneron)
  • L’associazione Lopinavir/Ritonavir, 
  • La combinazione di Ribavirina (inibisce la sintesi di RNA) con Emtricitabina e Tenofovir alafenamide fumarato (gli inibitori della trascrittasi inversa)
  • L’Acido Etacrinico – si tratta di un potentissimo diuretico (utilizzato nei trattamenti dell’ipertensione, edemi da insufficienza cardiaca, epatica e renale),
  • La Fluvoxamina (una pillola usata per il trattamento dei disturbi d’ansia),
  • Ci sono poi studi clinici, con farmaci come il Baloxavir, Marboxil, Oseltamivir e Umifenovir.

Antivirali e plasma dei pazienti le terapie sperimentate nei casi più gravi. Ma ora servono farmaci specifici e un nuovo protocollo di cure domiciliari

Troppo cari e poco disponibili gli antivirali e altri farmaci approvati per la fase iniziale

Gli antivirali e altri farmaci per la fase iniziale della malattia potrebbero idealmente prevenire i ricoveri ospedalieri. Inoltre ridurre la durata dell’infezione e limitare le complicazioni di COVID-19 a lungo termine, e potrebbero anche rivelarsi utili in futuro contro altri coronavirus minacciosi. Sono purtroppo, ancora in fase di sviluppo, molti altri potenziali trattamenti, che potrebbero evitare ai pazienti le sintomatologie peggiori.

Pochi gli sforzi economici fatti, per lo sviluppo di farmaci e terapie, per il contenimento del nuovo Covid19, da somministrare subito dopo l’infezione. Ciò ha lasciato i medici, con poche armi per colpire il virus, nel mentre lui continua a replicarsi. I trattamenti mirati a contenere l’agente patogeno, devono essere fatti entro la settimana, dopodiché diventano meno efficaci, o addirittura inefficaci. Anche quando le cariche virali si abbassano, le reazioni immunitarie contro Covid19 possono scatenare, in alcuni pazienti, un’infiammazione incontrollata che distrugge il tessuto polmonare sano. 

Di difficile somministrazione alcuni dei farmaci autorizzati sperimentalmente

Farmaci come la combinazione di anticorpi monoclonali della Regeneron, indicata per COVID-19 da lieve a moderato; però richiede un’ora di infusione endovenosa e un’altra ora di monitoraggio, per possibili effetti collaterali. Anche l’antivirale Remdesivir, si è dimostrato promettente nei soggetti appena infettati, ma richiede cinque giorni di terapia endovenosa. 
In un’intervista a “Scientific American”, Anthony Fauci, direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ha descritto le caratteristiche ideali dei trattamenti precoci per COVID-19. “La mia netta preferenza è per gli agenti antivirali ad azione diretta che possono essere somministrati per via orale” e che sopprimono completamente il virus nel giro di una settimana o meno, ha detto. “Questa, per me, è la massima priorità”.

Difficoltà nello sperimentare nuovi farmaci anti-Covid

 Essendo oramai alcune terapie divenute standard (ad esempio quelle con il Desametasone e il Remdesivir), esse vengono somministrate ai pazienti sia del gruppo che riceve il farmaco, sia nel gruppo che riceve il placebo. Pertanto ai ricercatori resta difficile se non impossibile capire se gli effetti sono dovuti ad un qualsiasi altro nuovo farmaco somministrabile.

Resta quindi difficile dimostrare l’efficacia dei nuovi farmaci; per gli scienziati è diventato difficile, trovare pazienti disponibili a partecipare a sperimentazioni, in cui è previsto un gruppo di controllo che riceve un placebo. E seppur i medici possono usare medicinali come il Bamlanivimab, in casi di emergenza; ci si domanda quanto sia possibile, trovare chi vorrebbe far parte del gruppo di controllo, quando da malato partecipa a una sperimentazione.

Inoltre pazienti affetti da COVID-19, non sono un gruppo omogeneo, pertanto alcune terapie funzionano meglio su alcune persone, piuttosto che su altre. Pertanto se i medicinali fossero ammessi all’uso clinico, con troppa fretta, cioè prima che la loro efficacia sia stata dimostrata, sarebbe difficile determinare quali pazienti, sono più indicati a beneficiare delle varie e diverse combinazioni. 

Movimento CittadiniNelCuore

 


Allegati: Pillole Anti COVID19

Remdesivir.

Si tratta di un farmaco, nato come terapia per l’Ebola, somministrato per via endovenosa e dotato di ampia attività anti-virale; inibisce la replicazione virale interrompendo in maniera prematura la trascrizione dell’RNA. E’ dotato di attività in vitro contro il SARS CoV-2 (il virus responsabile dell’infezione da COVID-19) e di attività contro altri beta-coronavirus, in vivo. L’Italia partecipa ai 2 studi di fase 3 promossi da Gilead Sciences per valutare efficacia e sicurezza del farmaco negli adulti ricoverati con diagnosi di COVID-19.

“Si tratta di un altro farmaco – commenta il professor Cauda – che può avere un’interessante azione anti-virale; anche in questo caso questo farmaco non nasce come terapia anti-SARS CoV-2, ma come trattamento anti-Ebola. Il farmaco non è ancora in commercio ed ha anch’esso un’azione anti-virale, consistente nella inibizione della replicazione del virus. Anche in questo caso i risultati sono troppo scarsi per poter dire una parola definitiva; si tratta tuttavia di un altro farmaco di grande interesse sul quale la comunità scientifica deve porre la sua attenzione”.

Ritonavir/Lopinavir.

“Nell’ambito dei farmaci anti-retrovirali è stata anche rispolverata l’associazione ritonavir/lopinavir, farmaco vecchio di una ventina di anni e superato da altri nel trattamento dell’infezione da HIV. Studi di docking molecolare, avevano visto che, questo farmaco aveva una maggiore capacità di adattarsi al sito combinatorio con il virus SARS Cov-2 e questo aveva fatto nascere interesse e portato ad avviare sperimentazioni cliniche.”

Un primo studio randomizzato su malati Covid-19, che ha coinvolto 199 pazienti non ha evidenziato, differenze nel tempo al miglioramento clinico e nella mortalità. Questo risultato, deve tuttavia essere interpretato perché la popolazione studiata, comprendeva pazienti con malattia avanzata . Mentre i protocolli attualmente in uso presso i principali centri clinici, ne prevedono l’utilizzo in fasi più precoci e in pazienti meno compromessi. Nello studio, la mortalità, pur non risultando significativamente diversa, rispetto al controllo, mostra un chiaro trend a favore del trattamento. Osservando anche, una tendenza verso la riduzione della permanenza in unità di terapia intensiva, a favore dell’associazione.

In considerazione del generale livello di incertezza, delle evidenze disponibili (incertezza che riguarda anche le combinazioni a base di darunavir, per le quali i dati a supporto, sono molto limitati, ma che hanno un meccanismo d’azione molto simile a quello di lopinavir/ritonavir, l’AIFA si è impegnata a monitorare costantemente, tutte le nuove evidenze che si renderanno disponibili nel tempo.

Favipiravir e umifenovir.

Di recente l’attenzione degli studiosi (e del pubblico dei social), si è appuntata su due nuovi farmaci anti-influenzali, uno giapponese (il favipiravir della Fujifilm Toyama Chemical), l’altro usato in Russia e in Cina (l’umifenovir della company russa Pharmstandard). “L’AIFA – ricorda il professor Cauda – ha di recente autorizzato un trial clinico sul favipiravir.  Anche in questo caso è giusto sottolineare che il favipiravir può presentare effetti indesiderati, dei quali è bene tener conto nella prescrizione”.

Per quanto riguarda l’umifenovir l’AIF non ha per ora autorizzato alcun trial clinico. Il farmaco, utilizzato in Cina durante l’epidemia da COVID-19 su alcuni pazienti, in associazione ad altri trattamenti, dispone infatti di pochi dati, peraltro di scarsa qualità. “Al momento attuale – fa sapere l’AIFA – non sono disponibili evidenze scientifiche sufficienti a supportare l’efficacia di umifenovir nel trattamento della malattia COVID-19, o nella prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2, né tantomeno il suo utilizzo in sostituzione di altri trattamenti che in Italia sono stati messi a disposizione per i pazienti affetti da COVID-19”.

L’agenzia regolatoria ricorda anche che, in relazione alle “offerte web per farmaci non autorizzati o falsificati, si segnala che l’acquisto di medicinali con prescrizione attraverso internet non è consentito dalla normativa italiana, ma è soprattutto estremamente pericoloso per la salute”. Insomma il fai da te, sulla scia di qualche ‘consiglio’ dei social, oltre a non essere utile, può essere estremamente pericoloso.

Tocilizumab.

Un anticorpo monoclonale, bloccante il recettore dell’interleuchina-6 (è prodotto da Roche), finora utilizzato con indicazioni reumatologiche, è stato inserito in un protocollo di trattamento anti-COVID dai ricercatori dell’Istituto Pascale di Napoli. “Nel contesto del COVID-19 – ricorda il professor Cauda –  viene utilizzato per ridurre il ‘fuoco amico’ che, in una fase dell’infezione può essere dannoso soprattutto nei pazienti con polmonite interstiziale, l’elemento più grave del quadro clinico di COVID-19”.

Il terzo studio, RCT-TCZ-COVID-19, è uno studio indipendente italiano coordinato dall’ Azienda Unità Sanitaria Locale-IRCCS di Reggio Emilia. Si tratta di uno studio di fase 2, che ha come obiettivo generale, quello di valutare se la terapia precoce con Tocilizumab (TCZ), è in grado di ridurre il numero dei pazienti con polmonite da SARS-CoV2, che richiedono una ventilazione meccanica. In particolare lo studio valuta, come obiettivo primario, l’efficacia del Tocilizumab, somministrato precocemente in pazienti affetti da polmonite da COVID-19, rispetto alla terapia standard a 2 settimane dall’ingresso in studio; come obiettivi secondari, confronta l’efficacia del Tocilizumab, in termini di ingresso in Terapia Intensiva, con ventilazione meccanica invasiva, in due gruppi: pazienti nei quali è somministrato precocemente, come da protocollo verso pazienti, nei quali viene somministrato all’aggravamento clinico.

47D11.

“L’unico farmaco specifico per bloccare il SARS CoV-2 – ricorda il professor Cauda – è un anticorpo monoclonale di recente presentato dall’Università di Utrecht. Questo farmaco bloccherebbe il sito combinatorio del virus (la proteina ‘S’ del virus che si lega al recettore ACE2, espresso sulle cellule polmonari). Ma per ammissione stessa dei ricercatori, i tempi della commercializzazione probabilmente non saranno brevissimi”.

Uno studio ancora in ‘pre-print’, realizzato da Chunyan Wang e colleghi del gruppo di ricerca coordinato da Berend-JanBosch (Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Utrecht) ha dimostrato che il 47D11 (questa la sigla con la quale viene indicato questo anticorpo monoclonale) è in grado di legare sia il SARS CoV-2 che il SARS-CoV e di inibire in maniera importante l’infezione virale su una linea cellulare di cellule Vero.

Non è tuttavia ancora chiaro come faccia il 47D11 a neutralizzare il virus; in maniera sorprendente, sembra escluso che lo faccia impedendo alla proteina S di legarsi all’ACE2. Un’ipotesi è che possa determinare l’inattivazione delle antennine (gli spike, appunto) del virus, andandone a destabilizzare la struttura. (https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.03.11.987958v1)

Emapalumab e Anakinra

Il primo studio, Sobi.IMMUNO-101, è uno studio di Fase 2/3, multicentrico, volto a valutare l’efficacia e la sicurezza di somministrazioni endovenose di Emapalumab, un anticorpo monoclonale anti-interferone gamma, e di Anakinra, un antagonista del recettore per la interleuchina-1, nel ridurre l’iper-infiammazione e il distress respiratorio in pazienti con infezione da nuovo coronavirus. Uno dei piú importanti fattori prognostici negativi in pazienti con infezione da nuovo coronavirus è, infatti, rappresentato dall’iper-infiammazione causata dalla tempesta citochinica a seguito di una risposta esagerata del sistema immunitario alla presenza del virus.

Sarilumab

Lo studio Sarilumab COVID-19, sempre di fase 2/3 come il precedente, è, invece, relativo alla valutazione di efficacia e sicurezza delle somministrazioni per via endovenosa del medicinale Sarilumab, un antagonista del recettore per la interleuchina-6, autorizzato in Italia per il trattamento dell’artrite reumatoide, in pazienti adulti con malattia COVID-19 in stadio severo o critico.

Inserimento in lista 648/96 del farmaco IF-β 1a. La CTS, nell’ambito del processo di rivalutazione continua delle posizioni assunte per i farmaci da utilizzare nei soggetti con COVID-19, ritiene opportuno revocare tale inserimento per problemi di incompatibilità della formulazione disponibile rispetto all’uso proposto.

Il desametasone

Lo steroide in uso dagli anni sessanta che riduce i tassi di mortalità nei pazienti gravi, è uno dei farmaci riconvertiti che hanno avuto successo. La sua efficacia è innegabile:  è stata accertata in un’ampia sperimentazione in cui il medicinale è stato somministrato a 2100 persone.

Tuttavia non è ancora del tutto chiaro come funzioni, dice Calfee, perché gli steroidi possono agire su molte vie immunitarie diverse. Inoltre i ricercatori preferirebbero una cura più specifica, che agisca solo sulle vie immunitarie interessate dal coronavirus, senza esporre i pazienti a forti steroidi.

Una possibilità è il tocilizumab, un MAb prodotto da F. Hoffmann-La Roche. Invece di agire sul virus, questo farmaco attacca una molecola messaggera chiamata interleuchina 6 (IL-6), che si ritiene intervenga nelle reazioni eccessive del sistema immunitario. Anche se un ampio studio osservazionale condotto su quasi 4000 pazienti ha determinato che il tocilizumab riduceva il rischio di morte, studi controllati randomizzati su questo e altri inibitori di IL-6 non hanno rilevato benefici, perciò il loro uso è ancora in discussione.

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